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Consumo dunque sono di Zygmunt Bauman

 
Introduzione
L’autore introduce il libro considerando tre esempi, scelti a caso, su ciò che sta rapidamente cambiando le abitudini della società in cui viviamo definendola sempre più wireless.
Caso 1
Viene descritto come negli ultimi anni, la moda del social networking ha preso piede in modo violento, quasi come un torrente in piena e che ha investito la quasi totalità degli adolescenti. Si può dire che i creatori e inventori del networking abbiano toccato, come dice Bauman, “una corda sensibile, o forse un nervo teso e scoperto che da tempo attendeva lo stimolo giusto”, cioè quello di mostarsi e rivelare tutto della propria vita. Ma il motivo principale di questo successo, sta nel fatto che è diventato uno strumento senza il quale oggi si sarebbe invisibili e per questo condannabili e emarginati.


Caso 2
Si apprende, in questo esempio, l’utilizzo di sistemi informatici che vengono usati per classificare, attraverso dei valori che indicano la priorità, i clienti che contattono un’azienda. Questa prassi non è una causa della tecnologia, ma già le aziende avevano bisogno di uno strumento capace di fare una cernita dei clienti abbienti da quelli di minor valore. Fino a qualche giorno fa era compito di un dipendente rispondere al telefono e capire con quale categoria di cliente aveva a che fare, sprecando così tempo prezioso e quindi denaro. L’innovazione ha permesso di stringere i tempi, automatizzando la creazione di database, attraverso i quali allonatanare ed escludere i «consumatori difettosi»
Caso 3
Charles Clarke, primo ministro degli Interni britannico, annunciava un nuovo sistema di immigrazione «a punti», in modo da accoglierei migliori e scartare tutti gli altri. Vengono definiti migliori chi porta con sé maggior denaro da investire e chi ha maggiori capacità di guadagno. Un modo per selezionare gli immigranti in base alle esigenze del proprio Paese.
Questi tre casì, apparentemente così dissimili tra loro, hanno invece un minimo comune multiplo: tutte le persone citate “sono lusingate, incitate o costrette a pubblicizzare una merce che sia attraente e desiderabile, [...]. E le merci che sono sollecitati a mettere sul mercato, pubblicizare e vendere sono se stessi.” Possiamo così capire come oggi la parola merce può essere estesa, non più solo all’abbigliamento, ai prodotti alimentari, a tutto ciò che è esposto in una bancarella di mercato, ma anche al lavoro, a chi cerca un lavoro, un o una partner di vita, etc, e come merce si ha la necessità di essere sempre attraenti agli occhi dei potenziali acquirenti. Da questo rapporto tra consumatore e merce (oggetto di consumo) scaturisce una rete di relazioni interumane che deliniano le basi di una «società dei consumi».
Capitolo 1: Consumismo e consumo
Il consumo è un dato che ci accompagna da millenni e ogni giorno continuiamo a farlo, senza badarci più di tanto. Il consumo, come afferma Bauman, “può essere raffigurato come un ciclo metabolico di ingestione, digestione ed escrezione, è un aspetto permanente ed ineliminabile della vita svincolato dal tempo e dalla storia, un elemento inseparabile dalla sopravvivenza biologica che gli esseri umani condividono con tutti gli altri organismi viventi.” Da sempre caratterizza il modo umano di “essere nel mondo” e rientra tra i fattori che determinano lo stile della vita sociale, ma nella realtà contemporanea sembra sia operante una sorta di “legge del consumo” che regola il funzionamento dell’intera società. Una legge che impone in maniera crescente a tutti gli individui di comportarsi sempre e comunque da consumatori, che pone il consumo come scopo dell’esisstenza della maggior parte delle persone. È proprio questo che ha portato alla cosiddetta «rivoluzione consumistica»: dal consumo al consumismo. Un tempo gli uomini desideravano acquistare, possedere e accumulare oggetti che recassero loro comodità e prestigio; si trattava di beni spaziosi, pesanti, inamovibili potendo perdurare il più possibile nel tempo. Il consumismo si contrappone alla società solido-moderna di qualche giorno fa, con una nuova società liquido-postmoderna, in cui la felicità non sta più nella soddifazione dei bisogni, ma nella costante crescita della quantità e dell’intensità dei desideri e ciò porta ad un costante ed inesorabile
upgrade dei beni di consumo in possesso e di conseguenza si ha un’ascesa, senza precedenti dell’industria dello smaltimento dei rifiuti. Premonitore fu la visione di Italo Calvino in una delle sue «Città invisibili»: Leonia
Subordinato a questo stile di vita, anche la concezione del tempo viene ridescritta attraverso il modello puntinista. Con la “puntinizzazione del tempo si intende il concetto di pensare solo ed esclusivamente al presente, considerando il passato come un inutile fardello di cui liberarsi ed il futuro come una cosa che praticamente non c’è e quindi non vale la pena di programmare nulla a lungo termine. Si vive praticamente in un insieme di brevi istanti quasi staccati tra di loro, come fossero appunto tanti piccoli o piccolissimi “presenti”.
Ecco quindi perché tutto ciò che è vecchio, sia esso una persona che un esperienza lavorativa o un oggetto, deve essere scartato poiché inutile ed anzi d’ostacolo al pieno godimento del presente. Ecco quindi perché nel lavoro, nella vita di tutti i giorni e nei rapporti con le altre persone non si fa più nulla o quasi in previsione di un futuro anche vicino, perché esso non esiste: tutt’ al più può essere pensato come un “presente” che sta arrivando. Tanto più il tempo viene spezzato in “puntini” via via più brevi, tanto più la nostra condotta di vita diviene frenetica. Nei rapporti sociali si guarda solo alla quantità e non alla qualità, tenendosi in perenne contatto con una marea di interlocutori ma senza avere un vero rapporto di amore od amicizia con nessuno di essi.
In questo contesto anche il concetto di «felicità» muta. Chiunque vuole ottenere la felicità, ma risulta impossibile definirne un significato o un metodo assoluto per il suo raggiungimento: di fatto ciò dipende dal contesto socio-politico in cui ciascun popolo vive. Per questo motivo non si può stabilire se la moderna rivoluzione del consumismo abbia reso le persone più o meno felici rispetto ad una società solido-moderna o premoderna. Per chi vive in una società liqiudo-moderna, anzi il raggiungimento deve essere irraggiungibile, devono rimanere insoddisfatti i desideri. Solo grazie a questo la società dei consumatori cresce rigogliosa.
Capitolo 2: Una società di consumatori
La «società dei consumatori» è un tipo di società in cui si pubblicizza, si incoraggia o si impone uno stile di vita e una strategia di vita dedita al consumismo e se ne vieta qualsiasi alternativa ad essa. In una società di consumatori, il consumo è visto come una vocazione, come unico diritto universale e al tempo stesso dovere universale. Non ci sono discriminazioni di età o di genere e tanto meno di classi.
“I poveri si trovano giocoforza in una situazione in cui sono costretti a spendere lo scarso denaro o le poche risorse per procurarsi oggetti di consumo privi di senso, anzichè sopperire a bisogni fondamentali, al fine di allontanare da se una totale umiliazione sociale e la prospettiva di essere molestati e derisi.”
Nella società dei consumatori esistono regole molto severe e rigide da rispettare per non esserne esclusi. Difatti vengono definiti «anormali» e dichiarati «invalidi» coloro che non riescono a superare le prove cui sono sottoposti e non sono neppure meritevoli di cure o assistenza, poichè si ritiene che sia sempre possibile attenersi alle legge del consumo. Ma chi fa parte della società dei consumatoriè a sua volta un prodotto di consumo, ed è questo rapporto che ne assicura l’appartenenza. Ma l’uomo, sapendo di essere superiore alla cosa, ne rifiuta l’accostamento in quanto segnerebbe per lui una sconfitta. Per questo, il corpo grezzo, disadorno, non lavorato è motivo di vergogna, così i mercati approfittano di tale paura per offrire una svariata gamma di prodotti e strumenti necessari all’autocostruzione individuale. E l’aspetto più tragico è che questa insoddisfazione, secondo l’autore, è comunque il destino dell’individuo/comunità anche in caso di adesione (cioè di “non-resistenza”) al sistema consumistico, proprio perché un perpetuo «cambiare identità, liberarsi del passato e ricercare nuovi inizi (..) viene incoraggiato da questa cultura come un dovere camuffato da privilegio».
Tutto questo ci fa riflettere anche su come la libertà dell’umanità si sia evoluta nel tempo. Da periodi di assenza di scelte seguiti da altri a scelta limitata fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui ancora è in atto un processo graduale di emancipazione, così viene descritto pubblicamente il cammino verso la libertà. Da un altro punto di vista, quello che meno viene pubblicizzato, è il ritorno alla schiavitù, oggi del mercato dei beni di consumo. Questo meccanismo è causa dello Stato, il quale ha dato la possibilità di deregolamentare e privatizzare, tutto ciò che riguardava il consumo, affidando il tutto ai singoli consumatori. Difatti in questa società il vero titolare del potere sovrano è il mercato dei beni di consumo.
Capitolo 3: La cultura consumistica
La cultura consumistica è contrassegnata dalla costante pressione ad “essere qualcun altro”», cioè da una perpetua induzione della necessità di rinnovare continuamente la propria identità (e quindi di «rinascere»). Il solo modo di appartenere a questa società ed essere accettati per un periodo di tempo desiderato, non basta essere un passo avanti nello sfoggiare i simboli del momento, ma bisogna restare un passo avanti. Nella società consumistica questo si traduce in un valore alto di mercato e relativa domanda abbondante, che portano al riconoscimento, approvazione ed inclusione in essa, in quanto oltre ad essere in linea con la richiesta del momento, si è sempre cauti circa il pericolo di un eventuale cambiamento di emblema con la conseguente esclusione ed abbondono da parte della comunità. Ma all’acquisizione di un dato emblema o più in generale di un bene di consumo si è già a conoscenza della sua data di scadenza oltre la quale ci sarà un rinnovo comportando un’accellerazione del processo di upgrade. Inoltre si potrebbe essere convinti di essere liberi in quanto, di volta in volta, si ha la possibilità di scegliere il “look” preferito, ne esistono diversi, poche volte però ci si rende conto che il ventaglio di offerte hanno comunque un «limite insuperabile» dettato proprio dalle leggi di mercato.
Nella cultura consumistica, si è modificata anche la gerarchia dei valori riconosciuti, si è difatti declassata la durabilità di un oggetto in favore della transitorietà. Si privilegia la novità alla durata. Si accorciano i tempi tra il desiderio e il suo appagamento e tra esso e il cestino dei rifiuti. Difatti il valore di un oggetto non è più misurato nelle sua qualità, quanto nei suoi limiti: essi suggeriscono un suo futuro rinnovamento e miglioramento e saranno al centro di nuovi desideri. Bauman vuole così affermare che “una società dei consumatori non può che essere una società dell’eccesso e delle sperpero – del superfluo e dello scarto abbondante”. È proprio questa società che ha la capacità di gestire e cambiare le tendenze e far in modo che tutti le seguino. Riesce a sminuire e ridicolarizzare cose che fino a qualche mese prima aveva pubblicizzato e reso indispensabile. La vita di un consumatore non consiste nell’acquisire e mantenere e neanche nel cestinare ciò che fino a ieri era stato un motivo di gioia. Consiste nel rimanere in movimento, mantenere il consumatore in uno stato di insoddisfazione poichè un qualunque suo appagamento sarebbe la fine di un ciclo, motore della società liquido-moderna.
Capitolo 4: Vittime collaterali del consumismo
Nella società dei consumi i poveri sono totalmente inutili. Da loro i membri rispettabili e normali di tale società, i consumatori autentici (perché possono permettersi di spendere e quindi di essere all’altezza delle aspettative della società dei consumi), non vogliono e non si aspettano nulla. Nessuno ha bisogno di loro. Per loro c’e’ tolleranza zero. La società starebbe molto meglio se i poveri bruciassero le proprie baracche e si lasciassero bruciare con esse o semplicemente se ne andassero. Il mondo sarebbe un posto tanto più dolce e piacevole se non ci fossero loro. I poveri non sono necessari e quindi sono indesiderati. Inutili, indesiderati, abbandonati: qual e’ il loro posto? Occorre in primo luogo allontanarli dalle strade e dagli altri luoghi pubblici che usiamo noi, abitanti legittimi del meraviglioso mondo del consumo. Se sono appena arrivati e il loro permesso di soggiorno non e’ perfettamente in regola possono essere deportati oltre frontiera. L’ isolamento fisico può essere rafforzato con la segregazione mentale: i poveri sono presentati come persone negligenti, colpevoli e prive di principi mentali. I media danno allegramente una mano alla polizia nel presentare al pubblico assetato di sensazioni forti l’ immagine sinistra di elementi criminali che, all’ insegna dell’ illegalità, della droga e della promiscuità sessuale, si rintanano nell’ oscurità di covi inaccessibili e strade malfamate.
La spinta a consumare e poi ancora a consumare, per essere efficace, deve essere trasmessa in tutte le direzioni e rivolta indiscriminatamente a tutti coloro che ascoltano e per i poveri della società dei consumatori non adottare il modello di vita consumistico significa disonore ed esclusione, mentre adottarlo comporta l’ ulteriore aggravamento di quell’ esclusione che impedisce di esservi ammessi. Uno stato e’ sociale quando promuove il principio dell’ assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali e le loro conseguenze. E’ tale principio a ridefinire l’ idea di “società” come esperienza di comunità sentita e vissuta, sostituendo l’ ordine dell’ egoismo all’ ordine dell’ uguaglianza. E’ lo stesso principio a elevare i membri della società allo status di cittadini, compartecipi oltre che azionisti, attori e non solo beneficiari. L’applicazione di tale principio può diventare una copiosa fonte di solidarietà, capace di convertire la società in un bene comune, condiviso, posseduto dalla comunità, di cui prendersi cura insieme poiché e’ improbabile che la salvezza arrivi da uno stato politico che non e’, o che rifiuta
di essere, uno stato sociale. Senza diritti sociali per tutti un numero elevato e molto probabilmente crescente di persone vedrà i propri diritti politici come qualcosa di inutile e non meritevole di attenzione.
“Ognuno di noi in qualche momento e’ fragile. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Viviamo la nostra vita qui e ora, insieme agli altri, intrappolati nel bel mezzo di un cambiamento. Saremo tutti più ricchi se a ciascuno di noi sarà consentito partecipare e se nessuno verrà escluso. Saremo tutti più forti se ci sara’ sicurezza per tutti e non soltanto per pochi.
Lo scopo dello stato sociale e’ proteggere la società ed evitare il moltiplicarsi delle vittime collaterali del consumismo: gli esclusi, gli emarginati, la sottoclasse. Il suo compito e’ salvare dall’erosione la solidarietà umana e dalla dissoluzione i sentimenti di responsabilità etica.
Esistono pochi dubbi che la crescita dell’ attivismo dei consumatori sia strettamente connessa al declino delle forme tradizionali di partecipazione politica e di impegno sociale.
Ciò di cui si può dubitare e’ se tale fenomeno sia portatore di una nuova forma di impegno sociale che, nel porre le basi della solidarietà sociale, si dimostri altrettanto efficace delle forme tradizionali, nonostante tutte le loro ben documentate manchevolezze. L’attivismo dei consumatori e’ sintomo del crescente disincanto nei confronti della politica. “In mancanza di altro su cui fare affidamento e’ probabile che le persone perdano la stessa nozione di collettività e con essa ogni idea di società democratica, per ripiegare sul mercato come arbitro (e sulle proprie capacità e attività in quanto consumatori)”.
E’ necessario rievocare il precedente significato del termine democrazia, che un tempo fece di questa parole il grido di battaglia di quelle stesse masse deprivate e sofferenti che oggi si allontanano dall’ esercizio di diritti elettorali conquistati a duro prezzo.
Oggi si e’ prima di tutto consumatori e solo molto dopo (e se mai) cittadini. E per diventare veri consumatori occorre un livello costante di vigilanza e di sforzo che difficilmente lascia tempo per le attività richieste dalla cittadinanza.
“Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. E’ una guerra silenziosa e la stiamo perdendo”.